Diario della fattoriaL'età dell'oro.
Il mito dell'età dell'oroMassimo di Tiro, scrittore greco del II sec. d.C. ha paragonato in una dissertazione (XXXVI) l'ideale di vita dei cinici a quello dell'età dell'oro: questi, infatti, dice, si sforzavano di vivere il più vicino possibile a quello che credevano essere lo stato di natura, vivendo frugalmente, ritenendo inutili le arti e le scienze, mangiando cibi crudi. La vita civilizzata è una prigione in cui gli uomini pagano dei piaceri frivoli con dei terribili mali. 'Chi è abbastanza folle, si domanda, ' da preferire piaceri frivoli ed effimeri, beni insicuri, speranze incerte, successi equivoci ad un tipo di vita che è certamente uno stato di felicità?'. L'origine dell'umanità è avvolta nella leggenda. Si racconta che nel tempo in cui Crono regnava ancora in cielo, gli uomini vivevano liberi da affanni e al riparo dalle fatiche, 'tutti i beni appartenevano loro spontaneamente, la terra produceva naturalmente abbondante raccolto alimentata solo sa un clima dolcissimo, non conosceva le ferite inferte dal rastrello, i buoi erano liberi dal tormento del giogo: in questo mondo favoloso gli uomini godevano in armonia con l'universo. Il mito dell'età dell'oro è diventato nel corso dei secoli un luogo comune della morale che rappresenta gli esordi dell'umanità come il regno della Giustizia: con gli uomini viveva la Vergine, della stirpe di Astreo che cantava al popolo concorde le leggi regolatrici della società e che si allontanò da loro solo quando con l'età dell'argento e poi del bronzo gli uomini diventarono battaglieri e carnivori; da allora appare solo di notte nel cielo vicino a Boote dal grande splendore (Arato, Fen., 96-129). A Roma, dove Crono era identificato con Saturno, l'età dell'oro si pone al tempo in cui questo dio regnava sul Lazio: gli dei vivevano in intimità con i mortali e in una condizione di pace e ci si nutriva esclusivamente di legumi e di frutti. La credenza in un'età dell'oro e la speranza di un ritorno a quel paradiso originario è stata molto viva presso gli antichi Greci e Romani che si può pensare che le Saturnalia furono istituite volendo rappresentare la pace, l'abbondanza e l'uguaglianza di cui si godeva sotto il regno di Saturno e per rinnovare il ricordo di quei tempi felici. Scrittori e poeti ne hanno parlato sin dall'antichità presentandoci alcuni caratteri ricorrenti. Il mito delle quattro età contraddistinte dai nomi dei metalli si ritrova anche negli antichi astrologi che, persuasi dell'influenza dei corpi celesti sulle cose della terra, erano convinti che i vari aspetti che prendevano le costellazioni modificassero continuamente la vita sulla terra; il ripetersi di momenti comporta alterazioni nei costumi degli uomini, per cui si passa da uno stato di felicità ad uno stato di travaglio per il sopraggiungere di bisogni e passioni. Non potendo addentrarci in questo argomento che ci porterebbe, nel ripercorrere la storia del pensiero filosofico, fuori tema, ci basta dire che sin da Esiodo a Virgilio, ad Ovidio si parla non di un vero declino continuo, ma di un ritorno all'età dell'oro; procedendo di periodo in periodo, si passa dalla primavera della natura, l'età dell'oro, all'estate, all'autunno e all'inverno, e similmente all'età dell'argento, del rame e del ferro per dare luogo un'altra volta all'età dell'oro e così sino all'infinito. Su questa 'favola' Platone fondò la sua idea del mondo che, creato perfetto, col tempo si altera e si consuma e si distruggerebbe se il suo stesso artefice non lo restaurasse di volta in volta. Col passare dei secoli si è sempre fatto riferimento, anche indirettamente a quel favoloso periodo della preistoria in cui l'uomo conduceva una vita innocente e felice, in comunione con la natura. Nella seconda metà del XVIII secolo anche Rousseau nel suo Discours sur les sciences et les arts dice che la civiltà non è che decadenza, 'la natura ha fatto l'uomo felice e buono, ma la società ' lo rende infelice'. Essendo impossibile fare a ritroso il cammino della civiltà, bisogna riavvicinarsi alla natura, restaurare nell'uomo incivilito quei beni che furono l'appannaggio dell'uomo primitivo, la bontà, la libertà, la felicità. In una dissertazione preparata per un concorso dell'Accademia di Digione sulla questione 'se il progresso delle scienze e delle arti ha contribuito a corrompere o a emendare i costumi', Rousseau disse che non poteva accusare la scienza, quanto difendere la virtù. Non si può disconoscere che questa sia una verità eterna e sempre attuale: è compito dell'uomo non distruggere lo stato di felicità, non alterare quell'equilibrio tra natura e genere umano, necessario alla sua sopravvivenza, restaurarlo quando gli eccessi potrebbero distruggere non solo la natura, ma l'uomo stesso. |
S.E.M.I.
in ricordo del caro Scipio e di Rino... |